CHARLES JAMES GENIO INTRANSIGENTE
Charles James è stato uno dei più grandi Designer del ventesimo secolo, conosciuto come il primo couturier americano era considerato da Balenciaga come colui che aveva elevato la moda a forma di arte pura; eppure sino a pochi anni fa era noto a una stretta cerchia di addetti ai lavori: solo due recenti mostre hanno restituito la fama che merita a un’artista che ha votato il suo lavoro alla celebrazione dell’eleganza e della bellezza allo stato puro. Charles James nasce in Inghilterra da una madre di origine americana e da padre inglese, ufficiale militare, inizia la sua carriera come creatore di cappelli e adottando lo pseudonimo di Charles Boucheron poiché il padre considerava disdicevole tale attività.
Avendo riscosso enorme successo decide di trasferirsi a New York nel 1928 per poi fare la spola tra la città americana, Londra e Parigi. Sarà nei primi anni trenta che insediatosi stabilmente in America comincerà a realizzare abiti, applicando le tecniche messe a punto nella modisteria e sviluppando un personale quanto scientifico metodo di taglio. Charles James ha realizzato alcuni dei più begli abiti mai fatti; il suo approccio a un tempo scultorio, scientifico e matematico nella costruzione di favolosi abiti da ballo ha rivoluzionato la moda e innovato le tecniche di sartoria, continuando a ispirare i designer di oggi.
Charles James tagliava personalmente i suoi capi, ma era più un artista e uno scultore che un sarto. Il tessuto era drappeggiato e manipolato in forme spettacolari e drammatiche, cucito con tecniche complesse se non complicate, materializzando una visione personale di eleganza senza tempo.
James ha continuato a lavorare per anni perfezionando le linee, le lavorazioni e le forme esprimendo con un’ingegneria impeccabile la sua visione d’arte. Ritornava su di una stessa linea per rielaborarla, cambiare i tessuti e i volumi, e realizzarne differenti versioni che sono tanto coerenti nello stile quanto originali.
Le sue creazioni apparentemente così lievi, erano costruzioni rigorose, fatte di sostegni interni, stecche e rinforzi, sapienti imbottiture e tagli studiatissimi che letteralmente spostano il confine del fare abiti verso l’oggetto d’arte.
Costruzioni elaborate, spesso pesanti decine di chili ma la cui perfetta distribuzione non influiva sull’eleganza del portamento; le donne che le indossavano non erano semplicemente eleganti: divenivano la personificazione stessa dell’eleganza. I suoi abiti fluidi sviluppavano le infinite possibilità offerte dal tessuto nell’esaltazione del corpo della donna; abiti che celebravano la bellezza propria e delle donne cui erano destinati.
Per le sue creazioni James s’ispirava alle forme della natura, spesso ne portano il nome: come l’abito farfalla, che nella sua elaborata costruzione di faille di seta, ha il busto drappeggiato di chiffon in pieghe diagonali per poi aprirsi come le ali di una farfalla in un’esplosione gigantesca di tulle. Lo stesso dicasi per l’abito Swan, in cui l’enfasi del busto rispetto il volume della gonna sul dietro dona alla donna la stessa regale eleganza del cigno nell’atto di spiccare il volo.
Altre volte sono le forme pure a ispirarlo, spirali, sfere o cerchi in una fascinosa suggestione per la perfezione della matematica e della geometria; come nel caso di quello che forse è l’abito più bello mai creato, sicuramente il mio preferito in assoluto: l’abito Quadrifoglio. In quest’abito, composto di oltre trenta pezzi assemblati con precisione millimetrica, con strati e strati di costruzione interna, in cui i quattro lobi della gonna, tra loro differenti, s’inseriscono perfettamente in un cerchio. La sensibilità artistica di Charles James si esprime in quest’abito anche nella scelta delle materie e il loro contrasto netto, grafico, che contribuisce a sottolinearne la straordinaria linea: raso duchesse bianco, velluto di seta nero e faille di seta color avorio.
Charles James era un vero e proprio scultore che utilizzava il tessuto come medium espressivo: la drammaticità delle sue creazioni era esaltata dal gioco delle differenti texture combinate tra loro o da particolarissimi accordi cromatici. Una tale maestria e capacità scultorea la ritroveremo solo in Roberto Capucci, anche lui votato alla realizzazione di quelle che sono opere d’arte più che abiti.
I suoi abiti da ballo, che anticipavano il New look di Dior, fatti d’infiniti metri di tulle e raso, trasformavano le donne in creature da favola; indossare un suo capo conferiva loro uno status sociale e garantiva agli occhi del mondo un gusto impeccabile. Non meno ambiti erano i suoi inappuntabili tailleur dal taglio perfetto ispirati alle tuniche egizie.
I suoi cappotti, drammatici ed avvolgenti, ispirati alla pittura gotica fiamminga hanno il punto vita altissimo e ampi volumi a cocoon.
Charles James impiegò il suo personalissimo metodo di taglio fatto di linee curve che assecondavano l’anatomia del corpo anche nella creazione di piccoli capi per i fortunati figli delle sue clienti.
Un abito di James donava un portamento regale e un’aura di magnificenza mai più pareggiata. Le sue clienti erano le affascinanti mogli di ricchi magnati americani come Augustine Hearst, sua fedelissima cliente, o dive come Marlene Dietrich, Millicent Rogers e Babe Paley. James difficilmente avrebbe accettato di compiacere una cliente che non rispecchiasse la sua visione di bellezza ed eleganza. Le sue clienti, dal canto loro, pur di possedere un suo abito erano disposte ad attendere mesi di estenuanti prove al limite del perfezionismo maniacale; si narra che abbia messo più di tre anni solo per sistemare la manica di un vestito con un costo altissimo.
Charles James era un designer con una profonda conoscenza del tessuto e delle molteplici possibilità che offriva; padroneggiava la tecnica del taglio e della costruzione sartoriale in maniera totale, eccellendo nella creazione di abiti costruiti quanto in quelli fluidi e drappeggiati.
Il suo carattere d’artista, geniale e inflessibile ma anche capriccioso e difficile rese però i suoi rapporti professionali conflittuali. La sua collaborazione col produttore di prèt-a-porter Samuel Winston e con lo stilista Halston, finirono malissimo. Furono proprio la sua ineluttabile coerenza, il suo rifiuto ad adattarsi a un mondo in cambiamento, il suo voler continuare a realizzare abiti gioiello, piuttosto che una moda indossabile nel quotidiano a relegarlo ai margini negli anni sessanta e settanta, sino al quasi completo oblio. Di lui, oltre gli abiti scultura conservati gelosamente come pezzi d’arte dalle sue clienti, restarono quelle visioni di bellezza che aveva condiviso con i più grandi fotografi come Cecil Beaton, Avedon, Lilian Bassam, Horst e Luise Dahl-Wolfe; visioni immortalate in immagini che sono, a loro volta divenute icone di bellezza senza tempo.