ISSEY MIYAKE. NOT ONLY PLEATS, PLEASE

Posted on Aprile 22, 2024

Designer innovativo e anticonformista, Issey Miyake ha segnato un’intera generazione di creativi tra Oriente e Occidente.

Nato a Hiroshima il 6 agosto 1945 è testimone dello scoppio della bomba atomica: “Ero lì, e avevo solo 7 anni“, scriverà in una memoria per il New York Times nel 2009. “Quando chiudo gli occhi, vedo ancora cose che nessuno dovrebbe mai provare: una luce rossa brillante, la nuvola nera subito dopo, persone che corrono in ogni direzione cercando disperatamente di fuggire. Me lo ricordo tutto.”

Da bambino voleva diventare un atleta ma scelse di studiare nel dipartimento di Design dell’Università Tama di Tokyo, non essendo quello di moda ancora contemplato, per laurearsi nel 1964. Dopo la Laurea decise di lasciare il Giappone e spostarsi a Parigi dove, fra le altre cose, ebbe l’opportunità di lavorare accanto a Hubert De Givenchy e Guy Laroche.

Mentre era lì fu testimone delle proteste studentesche del maggio 1968, fatti che lo ispirarono a fare vestiti per tutti, non solo per l’elite, e sviluppare un concetto di design moda democratica, sebbene non populista o popolare.

Dopo un soggiorno a New York torna a Tokyo dove fonda il Miyake Design Studio nel 1970, e col suo lavoro rivoluziona profondamente il significato della parola vestire.

Amante del colore, del dinamismo quasi «spirituale» di cui infondeva i suoi capi d’abbigliamento, così come del concetto di trasformazione della materia, non solo seppe costruire ponti tra artigianalità tradizionale e nuove tecnologie applicate ai tessuti, tra abbigliamento di tradizione orientale e occidentale, ma fu un raro esempio di come un brand possa attingere continuamente alle proprie fondamenta senza smettere di reinventarsi.

Fra le voci della corrente avanguardista giapponese nell’esplorazione della funzionalità e nell’espressione della modernità nella moda,  Miyake ha portato visioni e motivi del Sol Levante nel sistema moda occidentale, non cadendo nel revival dell’orientalismo ma innovando, e dando vita a nuove forme estetiche. La ricerca dell’espressione di libertà lo porterà ad oltrepassare i confini, la curiosità ad indagare l’artigianalità, l’amore a raccontare la bellezza. Nella sua ricerca porta lo studio del movimento nella costruzione degli abiti, arrivando a  sviluppare un concetto di moda che è insieme sintesi di una filosofia e moltiplicazione infinita di un’idea. Nella sua visione gli abiti non sono oggetti frivoli, fini a sé stessi, ma creazioni che hanno uno scopo, che offrono una soluzione.

«A Parigi chiamiamo le persone che fanno i vestiti couturier. Loro creano pezzi da indossare, ma il lavoro dello stilista è realizzare qualcosa che funzioni anche nella vita reale» egli stesso disse in un’intervista al The Guardian nel 2016.

Nel 1971 presenta la sua prima collezione a New York, per decidere  in seguito di presentare  le sue creazioni a Parigi. Fu uno dei primi designer giapponesi a sfilare a Parigi, testa di ponte di quella ondata rivoluzionaria di designer, come Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo, che porterà la moda giapponese ad affermarsi nel resto del mondo. Il suo approccio alla moda lo contraddistinse come un designer all’avanguardia sin dai primi anni della sua carriera, tanto che le sue creazioni appariranno nel 1982  sulla copertina di Artforum, circostanza inaudita per uno stilista sino ad allora, e ed entreranno nella collezione permanente del Museum of Modern Art di New York.

Durante una carriera ventennale, ebbe notevoli collaborazioni con fotografi e architetti di grande fama. Memorabili restano i due  libri realizzati col leggendario fotografo Irving Penn.

Sarà con la collezione primavera estate 1994 Pleats Please, che marcherà decisamente la sua presenza nella Storia della Moda e nell’evoluzione del costume contemporaneo, attraverso la reinterpretazione del tessuto a pieghe: il celeberrimo plissé di Issey Miyake. Nel tempo questi abiti sono diventati il tratto più riconoscibile e distintivo della sua Moda.

Attraverso l’impiego della plissettatura l’abito, indossato, prende vita e dialoga con lo spazio circostante e il corpo, mentre, quando lo si toglie, ritornare a una pura forma geometrica bidimensionale. Tradizionalmente, le pieghe si fanno prima che un capo venga tagliato e cucito. Miyake, invece, inverte la tecnica e, attraverso un particolare processo di stiraggio, crea pieghe permanenti a capo finito usando calore e pressione. Grazie a questo trattamento termico brevettato, i vestiti non perdono mai la loro forma: nemmeno quando sono arrotolati o annodati si sgualciscono o restano schiacciati, e possono essere lavati in lavatrice. Realizzate in tessuto di poliestere, così leggero da essere quasi privo di peso,  le infinite pieghe a fisarmonica offrivano la stessa comodità dell’abbigliamento da casa. Non avevano bottoni o cerniere, né girovita  stretti o troppo marcati. Sono abiti scivolati sul corpo, coprenti e senza fodere, tanto da  poter essere  indossati direttamente sull’intimo, in un’espressione di minimalismo totalizzante. Le scollature non sono mai così profonde da essere troppo rivelatrici. Per Miyake indossare un pezzo Pleats Please è provare l’assenza di vincolo fisico e, con questo, una mancanza di inibizione emotiva e creativa.

Il prototipo di questi capi fu concepito nel 1991, quando Issey Miyake collaborò con il coreografo William Forsythe disegnando i costumi plissettati per una produzione del Frankfurt Ballet : “The Loss of Small Detail. I ballerini maschi indossavano i pantaloni, poi passavano ai vestiti, e le donne viceversa, ma qualunque cosa indossassero, erano liberi di saltare, piroettare e librarsi in volo.

Nel 1996 all’interno della linea lancia il progetto Pleats Please Artist Guest, dove il tessuto è stampato con le opere dell’artista contemporaneo Yasumasa Morimura.

Issey Miyake è però ben più delle pieghe. Oltre al celeberrimo plissé restano memorabili i suoi trench gonfiabili, e i capi tecnici dalle rifiniture high tech, così come la sua maglieria dalla texture tridimensionale e dai volumi esagerati.

Decenni prima di Alexander MCQueen e Hussein Chalayan, è Miyake a realizzare corsetti armatura in lucidissima plastica.

Creativo mai stanco di allargare i propri orizzonti, crea nel 1992,  L’eau d’Issey, una fragranza floreale per le donne, profumo legnoso che sa di primavera orientale. Il profumo è creato in collaborazione con Jaques Cavallier, e la bottiglia è progettata dallo stesso Miyake con Fabien Baron e Alain de Mourges: un cono di vetro sottile, minimalista, con una parte superiore in argento opaco che termina con una sfera. A ispirare Miyake è la visione della luna che sorge sulla Torre Eiffel una notte a Parigi.

Nella collezione primavera estate 1999 Miyake presenta un’altra sua iconica creazione, A-POC, acronimo di “a piece of cloth”: un unico pezzo di tessuto privo di cuciture. Emblematica della sua ricerca di design, rispondeva alle esigenze degli stili di vita contemporanei e alla loro continua evoluzione. Un singolo filo veniva tessuto da una macchina per maglieria industriale programmata da un computer.

Attraverso un unico processo, la macchina realizzava un abito completamente finito nelle sue parti, estrudendo un singolo tubo di tessuto. I capi venivano tagliati lungo  le linee di demarcazione per produrre un vestito, un cappello e una camicetta. Bastava tagliare il tessuto per realizzare  un capo d’abbigliamento. Nel finale della prima sfilata di presentazione, venti modelle indossarono un unico, lunghissimo vestito creando una sorta di serpente di tessuto rosso che si muoveva sinuosamente in passerella.

Gradualmente Miyake inizia poi a ritirarsi dalla prima linea del processo creativo, passando il testimone a una serie di giovani designer e collaboratori, in primis Naoki Takizawa, che negli anni ha seguito la strada tracciata dal suo maestro, continuando ad animare la settimana della moda di Parigi con sfilate vivaci e spettacolari tra elementi di danza, performance e fantasiose installazioni.  Se Miyake lascia la creazioni di moda, però, è per potersi dedicare nuovamente alla ricerca.

In collaborazione con l’architetto Ron Arad, Miyake realizza una particolare edizione: la  A-POC Trampoline, un insieme di giacca in maglia, pantaloni e stola che poteva fungere anche da copertura per la sedia Ripple di Arad dalla distintiva forma a otto, e che viene  presentata nel 2006 al Salone del Mobile di Milano

Nel 2010, invece, realizza la Bao Bao Bag, più che  una borsa un pezzo di design da indossare che in virtù della sua struttura, si deforma creando volumi a partire da una superfice bidimensionale.

Nel 2014 Miyake viene premiato con il prestigioso premio Compasso d’oro ADI  per la creazione della serie di lampade IN-EI Issey Miyake, realizzate in collaborazione con l’azienda italiana Artemide. Questo progetto è frutto di un percorso progettuale che Miyake realizza attraverso lo studio di ricerca Issey Miyake Reality Lab. Il centro di ricerche nato per sviluppare nuove tecnologie di riutilizzo e riciclo dei materiali partendo da materie prime di scarto, al fine di ottenerne di nuovi dalle elevate capacità specifiche: in questo caso una fibra rigenerata con alta capacità di riflettere la luce e che consente di ridurre il consumo energetico del 40%

Numerosi sono i riconoscimenti che sono conferiti al designer giapponese nel corso della sua carriera, nella sua terra come all’estero, in riconoscimento della sua geniale attività di designer d’avanguardia oltre al già citato Compasso d’Oro:  nel 2005 Miyake ha ricevuto il Premium Imperiale per la scultura, e nel 2006 vinse il Premio Kyoto per le Arti e la Filosofia; così come la sua moda  è stata oggetto di prestigiose mostre; già nel 1998, la Fondazione Cartier gli dedica una mostra intitolata Making Things.

 Issey MIyake si spegne il 5 agosto 2022 a causa di un carcinoma, circondato dall’affetto dei suoi cari e dai suoi collaboratori. Lascia un eredità di design imprescindibile, rappresentando un capitolo decisivo per la storia della moda con il suo approccio innovativo e originale; approccio che nessuno meglio di egli stesso seppe descrive:

Sono più interessato alle persone e alla forma umana che altro, e gli abiti sono la cosa più vicina agli esseri umani.

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